Milano: Dal 27 Gennaio 2023 al 16 Aprile 2023
Luogo: Museo Diocesano Carlo Maria Martini, Indirizzo: Piazza Sant’Eustorgio 3, Orari: martedì- domenica, 10-18; chiuso lunedì, Curatori: Barbara Silbe e Nadia Righi, Costo del biglietto: Intero: € 9,00 Ridotto individuale: € 7,00 Ridotto gruppi: € 7,00 Ridotto parrocchie: € 7,00 Scuole e oratori: € 4,00. Telefono per informazioni: +39 02 89420019 Sito ufficiale: http://www.chiostrisanteustorgio.it
Per realizzare ritratti fotografici potenti come quelli che stanno appesi in questa sala, occorrono prima di tutto, prima della competenza tecnica o della visione artistica, due cose: la vicinanza e l’empatia con i soggetti. In mostra il visitatore conoscerà i personaggi più disparati, proprio come avviene per strada, proprio come succede all’autore quando percorre i marciapiedi del mondo per imbattersi nella sua prossima storia. C’è però una dominante che salta all’occhio nel suo lavoro: l’attenzione si ferma sugli ultimi, su emarginati che vivono per strada, difficili da convincere ad accettare l’invadenza di un obiettivo scrutante. Sono loro i principali protagonisti della sua lunga ricerca iniziata nel 2008 e della quale viene proposta qui una corposa selezione. Sono gli invisibili che i passanti comunemente schivano, rifiutano, ma che hanno le stesse nostre aspirazioni. Un susseguirsi di volti fieri, talvolta irriverenti, dolenti, dalle espressioni composte per sostenere il milione di universi che hanno attraversato.
Le inquadrature spiegano da sole quale sia l’approccio solitario con il quale Lee Jeffries interagisce coi senzatetto o con le persone in genere: nulla di superficiale, di rubato in velocità restando a distanza, ma uno studio volto a stabilire fiducia in chi ha di fronte, per costruire un rapporto che vada ben oltre l’immagine finale. L’autore conosce il suo prossimo, lo ha frequentato, spesso aiutato, ben prima di fotografarlo. In qualche modo lo aspetta, lascia il tempo della fiducia reciproca, quella che abbassa le difese e che produrrà l’istante decisivo allo scatto. I suoi soggetti emergono dal buio profondo, inondati da una luce caravaggesca e da un contrasto che restituisce ogni segno sulla pelle, ogni dolore incarnito proprio sotto. Lo stile che ha sviluppato è fabbricato con luci e ombre che comunicano speranza e sconforto: da un lato il senso del Paradiso, di Dio ritrovato sulla faccia delle persone, dall’altro l’inferno, il loro, il suo, il nostro. In un gioco di specchi dove tutti aspirano solamente ad essere guardati, visti, considerati come esseri umani. Barbara Silbe & Nadia Righi (curating).
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